Contrattazione nazionale

Oggi ne parlano tutti e, quindi, ne parlo anche io.

Ieri è stata firmata l’intesa per un nuovo modello di contrattazione sindacale e la CGIL si è chiamata fuori. Io penso che abbia fatto sostanzialmente bene, e voglio spiegare il perché.

Il grosso problema da risolvere, gridato da tutti in campagna elettorale e ora dimenticato, è che i lavoratori dipendenti hanno perso molto del loro potere di acquisto. Il precedente modello di contrattazione sindacale non permetteva di recuperarlo in modo semplice, ma il nuovo lo esclude del tutto, cosa che mi pare anche peggio.

La nuova contrattazione nazionale, infatti, prevede di aggiornare gli stipendi sulla base di un indice di inflazione che però esclude la parte legata ai costi dell’energia: significa che tutto il potere di acquisto perso fino ad oggi non sarà mai più recuperato e che in futuro si prevede di continuare a perderne, almeno per la parte legata all’aumento dei costi energetici. Non c’è male: invece di recuperare, si perde ancora di più.

Neppure la contrattazione aziendale permetterà di recuperare il potere di acquisto, perché sarà completamente variabile e basata su produttività e competitività. La cosa non è neppure sbagliata, ma fallisce l’obiettivo iniziale: recuperare il potere di acquisto, appunto.

Faccio notare che la crisi non c’entra nulla perché questi sono accordi che durano decenni e in tempi così lunghi si spera che la crisi passi.