Ho vinto le elezioni

 

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L’eccezionalità del momento mi spinge a togliere la polvere da questo blog per depositare qui una enorme soddisfazione: per la prima volta ho vinto le elezioni.

Mi era già capitato di votare lo schieramento vincente, ma molto raramente, per vittorie risicatissime (“non sconfitte”), o con scarsa convinzione.

Questa volta no. Questa volta ho vinto 4 volte, una più bella dell’altra, una più grossa dell’altra, una più inaspettata dell’altra.
E come se tutto ciò non bastasse, questa volta la campagna elettorale l’ho vissuta e fatta per la prima volta in prima persona, con impegno e dedizione, dedicando tutto il (poco) tempo libero che mi rimaneva, e forse anche un pochino di più. Ma, accidenti, che soddisfazione.

Ha vinto il PD, e con percentuali incredibili, inimmaginabili, totalmente inaspettate.

Ha vinto Tiziano Tagliani, il candidato sindaco migliore che la mia città aveva a disposizione. E forse qualcosa di più.

Ha vinto Elly Schlein, che è stata eletta in Europa. Elly ha fatto una campagna lowcost, ma talmente partecipata, coinvolgente ed efficace da stravolgere i pronostici e risultare vincente. E io ne ho fatto parte, nel mio piccolo, con convinzione.
Ogni tanto vado a riguardare la classifica delle preferenze, la vedo lì al sesto posto, prima di molti altri ben più quotati di lei, e sorrido.

Ha vinto Ilaria Baraldi, che è entrata nel Consiglio Comunale di Ferrara. Ilaria è un’amica, ma anche una persona con cui ho condiviso numerose avventure, anche politiche, e che stimo enormemente per le sue idee e la sua capacità di portarle avanti con convinzione e coerenza. Sono convinto che saprà portarle anche in Comune in modo costruttivo, dando così ancora maggior forza all’amministrazione e al Sindaco.
Ilaria non solo ha vinto, ma ha stravinto, raccogliendo una quantità di preferenze che neppure lei sperava, ma che dimostrano molto.

Hanno vinto anche molte altre ottime persone, per cui sono felicissimo; e dispiaciuto per quelli che, invece, non ce l’hanno fatta, ma l’avrebbero meritato. Vorrei elencarli tutti ad uno ad uno, ma mi fermo qua.

La fotografia in alto l’ho pubblicata su Facebook qualche giorno prima delle elezioni. Le aspettative si sono realizzata. In pieno. Finalmente.

Civatiani a loro insaputa

civati

Il gruppo, che a me piace definire dei Civatiani a loro insaputa, continua ad allargarsi e ora conta una nutrita pattuglia anche nella mia città, Ferrara.

Il primo membro illustre è stato D’Alema che, in questa intervista, ripercorre le tappe del tormentato periodo che ha seguito la non-vittoria di Bersani alle elezioni, fino alla mancata elezione di Prodi ad opera dei famosi 101 franchi tiratori, o traditori se preferite, ancora tutti anonimi. D’Alema nell’intervista dice, solo ora, che secondo lui andavano fatte tutta una serie di cose, esattamente le medesime che Civati diceva, inascoltato, allora. Se ne accorge anche Civati stesso, che in questo post dice la sua al riguardo.

Si è poi aggiunto un secondo membro molto illustre, Renzi, che ha proposto di “ridurre le tasse sul lavoro tassando le pensioni d’oro” (link), la stessa identica proposta che Civati porta avanti da anni.

Ora anche a Ferrara un gruppo, che si autodefinisce dei “non allineati”, scrive ai giornali (qui la lettera pubblicata da estense.com) una serie di questioni, richieste e proposte che sono uguali, o almeno molto simili, a quelle di Civati. Ad esempio:

È tempo che il Partito Democratico sia […], anche a livello nazionale, uno spazio dove elaborare una linea che permetta finalmente di prendere decisioni su questioni fondamentali, uno spazio dove produrre un supporto politico concreto all’agire amministrativo e dove creare una identità indispensabile al confronto. Questo passa anche da una piena consapevolezza sul ruolo di ogni singolo iscritto al partito, che può nascere solo da una riflessione profonda sulla responsabilità, la dignità e l’importanza dell’opinione e del contributo di ognuno.
Radicare ed organizzare sempre più a livello territoriale il Partito Democratico, renderlo sempre più agibile, metterlo a disposizione dei cittadini, contribuire ad elaborare e sostenere strategie di sviluppo compatibile e di ampio respiro per il bene della comunità sono per noi obiettivi irrinunciabili che devono trovare spazio nel dibattito politico e congressuale tout court.

Mi sembra proprio un caso perfetto di Civatiani a loro insaputa. La mia speranza è che la loro decisione di rimanere “non allineati” sia dovuta alla scelta di attendere per conoscere meglio le posizioni di tutti e non a strani calcoli di vecchia politica; che quindi queste persone, e tutti quelli che la pensano come loro, ascoltino senza pregiudizi cosa hanno da dire i vari candidati alla segreteria del PD e poi decidano almeno di votare, se non di sostenere apertamente, quello che li convince di più. Io sono fiducioso che potrà essere Civati.

PS: chi si chiede quali sono, più nel dettaglio, le posizioni di Civati, può trovare molto materiale nel manifesto che ha presentato insieme alle firme per la sua candidatura, il giorno 11 ottobre 2013; si intitola Il partito delle possibilità.

La decadenza di Berlusconi e l’arbitro di calcio

berlusconi

Qualche sera fa ascoltavo, mio malgrado, Capezzone parlare della decadenza di Berlusconi, usando una ottima metafora calcistica.

Sosteneva, semplificando, qualcosa tipo che la decadenza di Berlusconi fosse sbagliata così come sarebbe sbagliato che un arbitro di calcio espellesse un attaccante solo perché fa troppi gol. E che tutti ci stupiremmo e ci scandalizzeremmo di un arbitro che facesse una cosa del genere.

Metafora molto appropriata e utilissima per rispondere a quelli che pensano che la decadenza di Berlusconi sia sbagliata e provare a convincerli del contrario.

Tutti considererebbero del tutto normale, anzi giusto, espellere o squalificare un attaccante che insulta gli avversari, insulta l’arbitro, commette falli gravi, assume doping, o altro. Indipendentemente da quanti gol fa o da quanto è importante per la sua squadra e i suoi tifosi.

Appunto.

Come funzionava il congresso PD

Su twitter mi hanno chiesto come funziona l’elezione del segretario del PD, che si dovrà tenere a breve per sostituire Bersani. Si può dire che nel 2009, quando è stato eletto Bersani, si è fatto così:

  1. Prima fase riservata agli iscritti al partito per “pre-selezionare” la candidature.
  2. Elezioni primarie per i candidati al ruolo di segretario, aperte a tutti i cittadini che volevano partecipare, firmando il consenso al trattamento dei dati e versando 1 euro; con queste elezioni si votava il candidato, ma si eleggevano in realtà dei delegati all’assemblea nazionale, come tendenzialmente succede in USA.
  3. I delegati, riuniti all’assemblea nazionale, hanno eletto il segretario.

Le fasi, che sembrano un po’ macchinose, in realtà servono ad equilibrare il contributo degli iscritti e quello degli elettori. Di fatto è stato eletto Bersani, che ha vinto le primarie con oltre il 50% dei voti, contro Franceschini e Marino. Ragionevolmente, solo se avesse preso meno del 50% dei voti, i delegati all’assemblea nazionale avrebbero potuto modificare il risultato delle primarie, perché avrebbero dovuto accordarsi tra loro per dare una maggioranza ad una persona. D’altra parte, la prima fase riservata agli iscritti serve proprio ad evitare il proliferare di candidati e ad ammettere alle elezioni primarie solo quelli che abbiano passato il vaglio del partito e che abbiano un minimo di consenso.

In definitiva, a mio avviso, complicato, ma equilibrato. Tra l’altro, complicato solo per gli iscritti al partito, ma per i comuni elettori in realtà molto semplice: vai, firmi, voti. Basta.

Potrebbe aprirsi una discussione molto importante sul fatto che si vocifera vogliano cambiare queste regole, eliminando le primarie aperte agli elettori, addirittura risevandole ai soli iscritti. Probabilmente la aprirò in un qualche post successivo. Ma anticipo che lo troverei scandaloso.

Civati e la fiducia a Letta

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In questi giorni il PD ha completato l’inversione ad U rispetto a qualche settimana fa: non più “governo del cambiamento” e “mai col PdL”, ma “large intese” e governo con Alfano e tutti gli altri dell’allegra combriccola.

La maggior parte della dirigenza del PD, mentre la base si lamentava, ha accettato in silenzio, con soddisfazione (più o meno nascosta) o con rassegnazione. Pochi hanno manifestato il loro dissenso. Pippo Civati è forse l’unico del PD che è arrivato al punto di non votare la fiducia al governo Letta, e qui ne spiega il motivo. Lo capisco e lo accetto.

Tuttavia io avrei agito diversamente. A mio avviso, a quel punto sarebbe stato giusto votare la fiducia; era giusto dare battaglia, come è stato, all’assemblea del gruppo parlamentare, ma poi mi sarei adeguato alla linea comune, pur mantenendo una riserva e manifestando il dissenso; perché se poi Civati vuole battersi al congresso e diventare segretario di un partito capace di contenere anime diverse è quella la linea: discutere anche aspramente e a viso aperto, ma poi fare una sintesi. Per essere chiari: non trovo utile l’idea della scissione.

Queste considerazioni non riducono affatto il mio giudizio assolutamente negativo sul modo col quale siamo arrivati a quel punto: il cambio repentino di direzione politica del PD, non spiegato e non discusso, ma deciso solo in poche stanze, con la proposta di Marini; lo scandaloso impallinamento di Prodi ad opera dei 101 anonimi; il seguente nuovo cambio di direzione, con Bersani a pregare Napolitano di ripresentarsi ancora una volta senza aver condiviso coi parlamentari tale linea (le alternative c’erano: capire chi erano i 101 e perché avevano fatto così, insistere su Prodi, convergere su Rodotà, sfidare i grillini su Zagrebelsky, etc.).

Posso accettare che il PD abbia l’abitudine di cercare gli accordi prima delle riunioni, ma non lo condivido: sarebbe stato giusto prendere le decisioni nei luoghi deputati allo scopo, non nei corridoi per poi farle ratificare alle riunioni. Quello che, però, non posso accettare, ed evidentemente neppure Civati, è che l’accordo prima delle riunioni venga cercato tra pochi, e non tra tutti; che un parlamentare come lui, che non fa parte di nessuna corrente, non sia interpellato e non abbia nessuna voce in capitolo. E’ assurdo ed è profondamente sbagliato e anti-democratico; quando, invece, il partito si chiama proprio democratico.

Ritengo che il modo sia anche la critica più forte che fa Civati e il motivo vero per il quale non ha ceduto e non ha votato la fiducia. Chiudo con le sue parole a sostegno di questa affermazione:

Ho però preferito dichiararmi contrario, perché non è il momento di «votare sì per dire no», perché mai come oggi la mancanza di dibattito è stata fatale, perché la chiarezza è il primo mandato che abbiamo ricevuto dai nostri elettori. Che tutto si sarebbero aspettati, tranne lo spettacolo degli ultimi giorni e l’esplosione delle contraddizioni di un partito che non sapeva dove andare. O forse lo sapeva benissimo, ma non aveva mai trovato le parole per dichiararlo (ammetterlo?) e il coraggio di pronunciarle, se non per “interposto Napolitano”. E non è serio e non è bello nemmeno questo.

I pericoli del bis di Napolitano

Giorgio Napolitano

Ho riflettuto e sono giunto alla convinzione che la rielezione di Napolitano abbia dei risvolti pericolosi. Specifico subito bene: la rielezione, non Napolitano.

Mi riferisco alla forzatura in chiave presidenziale che è stata fatta alla nostra bella Costituzione.

Il pericolo, come già detto, non credo affatto che sia Napolitano, ma piuttosto il precedente che si è instaurato e che potrebbe diventare problematico se i futuri presidenti dovessero essere meno attenti e meno rispettosi della democrazia.

L’ultima forzatura è stata, appunto, la rielezione stessa. Lo stesso Napolitano, e prima di lui Ciampi e altri, aveva affermato che la rielezione di un Presidente della Repubblica, anche se non è esclusa dalla Costituzione, non è in linea con essa. In questa particolare situazione, Napolitano ha inteso che questa forzatura fosse accettabile, e probabilmente ha ragione, ma ha di fatto creato un precedente e, in futuro, nessuno potrà obiettare.

In precedenza, comunque, si era già mosso ben oltre la prassi, prendendosi tutti i poteri che la Costituzione consente, ma che nessuno prima di lui aveva mai utilizzato. L’incarico assegnato di sua iniziativa a Mario Monti è l’esempio più lampante di questo processo di modifica delle prassi costituzionali. Ora, tale processo si è ulteriormente amplificato tanto che è diventato assolutamente normale, nessuno se ne lamenta, che il Primo Ministro sia scelto dal Presidente della Repubblica e non dalle delegazioni parlamentari. Mi spiego meglio: prima, il Presidente della Repubblica si limitava a nominare il Primo Ministro, che veniva tuttavia scelto dal Parlamento (con varie sfumature, perdonate la semplificazione); oggi, invece, è stato emblematico l’intervento di Debora Serracchiani alla riunione della direzione del PD dove ha detto: “non ho ancora capito se c’è un ordine del giorno dove mi pare che ci sia scritto che decide tutto Napolitano; allora non mi pare che ci sia nulla da discutere” (link al video, minuto 4:05) – peraltro, tale ordine del giorno effettivamente c’era e effettivamente è stato approvato di “assicurare pieno sostegno” a Napolitano (link).

Se tutto ciò appare accettabile in questo momento di emergenza, è proprio nelle emergenze che le regole andrebbero invece rafforzate, e non disattese.

In futuro, infatti, potremmo ritrovarci un Presidente della Repubblica che, ad esempio, si rifiuta di sciogliere le Camere pur se in palese assenza di una maggioranza, mantenendo in carica un governo anche in mancanza della fiducia del Parlamento (come in effetti è successo in parte con la vicenda Monti) e paralizzando il paese. Oppure, molto peggio, un futuro Presidente della Repubblica potrebbe decidere di sciogliere le Camere se queste dovessero rappresentare una maggioranza a lui sgradita, minacciando di sfiduciare il suo governo. O, addirittura, sciogliere le camere a ripetizione fino a quando queste non rappresentino una maggioranza a lui gradita e tale, ad esempio, da garantirgli la rielezione (eventualità contro la quale la Costituzione si tutela col cosiddetto “semestre bianco” che, però, potrebbe rivelarsi insufficiente). Si tratterebbe, peraltro, di un Presidente della Repubblica privo di mandato popolare, con un incarico lunghissimo (7 anni) e rinnovabile all’infinito.
Se provo per un momento ad immaginare che a quella carica e con quei poteri sia eletta una persona che dubito possa essere imparziale, come ad esempio Berlusconi, mi vengono i brividi.

Ecco perché, in definitiva, trovo molto pericolo il precedente che si è affermato.

Se si vuole dare più potere al Presidente della Repubblica, occorre modificare la Costituzione per introdurre anche gli opportuni correttivi, ad esempio un’elezione popolare, un mandato più breve, un numero massimo di mandati. In caso contrario, il pericolo è alto.

La (tragica) situazione del PD

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Oggi ho scritto una lettera ad alcuni amici, e la riporto in parte qui, opportunamente adattata.

Scrivo questo post col cuore in mano e con un enorme peso che ancora mi grava sullo stomaco dopo gli eventi politici di questi ultimi giorni: la pessima idea di candidare Marini, l’impallinatura di Prodi, la prospettiva di un governo di larghe intese con Berlusconi. Negli ultimi tempi ho discusso con molti amici, sentendo una sensibilità ed una passione ma avvertita prima.

Io continuo a credere che solo un grande partito di centrosinistra possa vittoriosamente contrapporsi alla destra di Berlusconi e offrire un’alternativa migliore al facile populismo di Grillo. Di partitini di sinistra, divisi e capaci solo di contrapporsi e restare all’opposizione senza mai governare, ne abbiamo avuti fin troppi.

Prendo atto che Il PD è spappolato. Bisogna solo capire cosa succederà, tra le alternative possibili.

Io ho deciso di non stare a guardare, non lasciare che i soliti furbi si impadroniscano del mio futuro e di impegnarmi al massimo, per quanto posso, per fare in modo che ne venga fuori qualcosa di buono. La versione breve è: al congresso, l’unica speranza è Civati e, per quanto possibile, mi impegnerò per lui. La versione lunga (ma non troppo) continua qui di seguito. (altro…)

Previsioni sul congresso PD

Premetto che sono un semplice cittadino che legge e si interessa; non ho alcun ruolo nel PD.

Voglio comunque mettere qui alcune recenti riflessioni sulla situazione del PD, stimolate anche dal recente articolo di Salvatore Vassallo; si tratta in sostanza di una sorta di profezia sul congresso che ci sarà a breve, scritta oggi per poter poi controllare se e quanto ci sarò andato vicino.

Si tratta di un post lungo, che probabilmente nessuno leggerà, ma mi è venuta la fissa dell’attualità politica e, così, l’ho scritto. Lo pubblico per tenere traccia delle riflessioni che ho fatto e ritrovarle a tempo debito.

Ricordo, per chi non lo sapesse, che il congresso non sono le primarie per l’individuazione del candidato premier della coalizione; il congresso servirà, invece, ad identificare il segretario del PD, che potrebbe coincidere col candidato premier (come da Statuto) o anche no (come fatto con le ultime primarie tra Bersani, Renzi e gli altri).

L’obiettivo di questo post è sostanzialmente analizzare le principali differenze tra le varie anime del PD. Si tratta di quelle che a me, da osservatore, sembrano essere le diverse posizioni, ma non ho certo la pretesa di indovinare tutto.

Nel PD vedo delinearsi sostanzialmente 4 diverse aree, che in modo semplicistico (e chiedo scusa per la semplificazione) possiamo definire:

  1. l’insieme dei dirigenti storici del partito ora prevalentemente raccolti intorno a Bersani;
  2. i giovani turchi;
  3. l’area raccolta intorno a Renzi;
  4. Prossima Italia, cioè l’area raccolta intorno a Civati.

L’unico che ha già dichiarato di candidarsi per il prossimo congresso è Civati. Quindi, lui ci sarà. (altro…)

Cosa dovrebbe fare il PD

Lo sport di moda del momento è dare consigli al PD e a Bersani. Ci sono molti, molto più bravi di me, che l’hanno già fatto come Luca Sofri qui o Civati in vari post sul suo blog o ancora AsinoMorto qui.
Voglio giocare anche io, con due semplici aggiunte a quanto già scritto.

Il succo è: giocare d’anticipo.

1.
In un paese civile, chi vince le elezioni prova a governare. Ottima l’idea di un governo del M5S con appoggio PD, così la patata bollente passa a loro, ma secondo me solo dopo averli portati allo scoperto fino alla mancata fiducia al Senato ad un tentativo di governo Bersani. Così si rimarca la differenza tra i due approcci. Poi appoggio a tutte e sole le cose che il PD condivide delle proposte di questo fantomatico governo 5 stelle. Potrebbero uscirne buone cose.

2.
In ogni caso, causa semestre bianco, le camere non si scioglieranno immediatamente. Il PD ne approfitti per presentare proposte di legge subito, immediatamente, il giorno dopo l’insediamento, a partire da una nuova legge elettorale con elezione dei parlamentari in collegi uninominali con doppio turno. E vediamo chi ci sta in Parlamento, a carte scoperte, senza accordi di corridoio.

3. (Lo so, avevo detto due)
Questa è impegnativa. Il governo ha 10 giorni per chiedere la fiducia. Perché prima di chiedere la fiducia al governo, Bersani non fa qualche decreto legge, uno al giorno, su legge elettorale, norme anti-corruzione, conflitto di interessi, etc. e chiede intanto la fiducia su quelli? Si può fare?

Legge elettorale

Il peggior scenario possibile:
Berlusconi che si rimette con la Lega e l’UDC che per opportunismo accetta di fare parte della comitiva, per votare una modifica alla legge elettorale che lascia tutto invariato tranne togliere il premio di maggioranza, o renderlo comunque inutile.

Praticamente una legge con tutti i difetti di quella attuale, e in più il problema di non garantire la governabilità. Anzi, di garantire l’ingovernabilità.

Vi prego, soprattutto il PD, fate qualunque cosa per evitarlo. Per evitare il ritorno alla prima repubblica.