La svolta epocale del lavoro

Roomba3g

Non ci sarà più lavoro per tutti e non ci sarà alcuna possibilità di tornare alla piena occupazione.
Questo accadrà presto, molto prima di quello che ci aspettiamo. E non è detto sia un male, purché la cosa venga gestita.

Da qualche tempo non faccio che ripeterlo a tutti e, giusto oggi, ho letto due articoli al riguardo, entrambi collegati alla galassia grillina: uno addirittura sul sito di Beppe Grillo (via HP), dove non capitavo da anni, e uno sull’HP.

D’altra parte, ci pare sempre più normale far pulire casa ad un robot e pensiamo sempre meno dell’aiuto di un collaboratore o una collaboratrice domestica (in altri tempi: donna delle pulizie). Ci pare normale fare tutto via Home Banking, senza andare a fare la fila nella filiale della banca. E questi sono solo due minuscoli esempi, comprensibili a tutti. Ma tutto ciò è parte del mio lavoro quotidiano.

Ora il punto è riuscire ad immaginare e a proporre una visione di società dove questo fatto incontestabile e incontrovertibile si traduca in vantaggi per tutti e non, come accaduto fino ad oggi, in inimmaginabile concentrazione di ricchezza in mano di pochi.

Questo è esattamente il compito della politica di oggi. E spero che un qualche partito di sinistra si decida a fare questa analisi culturale e a fare propria queste e altre questioni epocali. Saranno le risposte che decideremo di dare oggi a plasmare la società dei prossimi anni. Le potenzialità positive sono enormi, ma vanno perseguite con consapevolezza, oppure prevarranno le cose negative.

Perciò lo ripeto: non ci sarà più lavoro per tutti e non ci sarà alcuna possibilità di tornare alla piena occupazione. Questo accadrà presto, molto prima di quello che ci aspettiamo. E non è detto sia un male, purché la cosa venga gestita.

La grande transizione matrioska

La politica serve solo se affronta questioni planetarie. La sinistra serve solo se lavora perché la grande transizione porti giorni migliori per i molti e non per i pochi.

Publiée par Giuseppe Civati sur Vendredi 2 mars 2018

Elezioni 2018

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A due giorni dal voto ho deciso di dichiarare per chi voterò questa volta: Liberi e Uguali.

Avevo già da tempo deciso di non votare PD; potrei sbagliarmi, non so, però proprio il bilancio della legislatura precedente mi ha convinto che non potevo più dare il mio voto a quel partito. Su questo punto preciso potrei dilungarmi a lungo, ma ne ha scritto bene Luca Sofri qui, e prendo per buone le sue parole. Riporto giusto la conclusione, ma è interessante tutto il pezzo:

Non votare il Partito Democratico non significa “fare il gioco dei fascisti, o dei grillini”: significa dire “fate le cose meglio e ne riparliamo”; significa dire “il mio voto non è gratis”; significa dire “not in my name”; significa dire “se volevi convincermi candidavi Luigi Manconi invece di Tommaso Cerno” (non ho niente contro Tommaso Cerno, ma ce l’ho con un partito che decide i candidati senza nessuna ragione comprensibile); significa dire “devi smettere di approfittartene, e piantarla con questo ricattino”. Significa dare un valore lungimirante e costruttivo all’astensione, o al voto per candidati dignitosissimi fuori dal PD.
Da zero a dieci tutti gli altri sono partiti tra il 2 e il 4: bocciati senza dubbio. Il PD è tra il 5 e il 6: in questi casi certi professori promuovono “per incoraggiamento”, certi bocciano sperando che impari qualcosa e faccia meglio l’anno prossimo. Hanno buone ragioni entrambi: quando si tratta di ragazzi al liceo io di solito sto coi primi, quando si tratta di gente che ci marcia e destini di tutti quanti sono ogni volta molto indeciso.

Dunque, appurato che non volevo votare turandomi il naso ed escludendo categoricamente l’ipotesi di astenermi, le scelte che rimangono sono due: votare chi mi convince di più o dare un “voto utile“.

Per me il voto utile, in questa fase, sarebbe votare chi ha più speranza di rompere gli equilibri e magari consegnarci un Paese con un quadro politico più contendibile. In altre parole, il Movimento 5 Stelle. Non me la sento. E’ troppo. Sono talmente tanti, in questo momento, i punti di divergenza con loro, sui contenuti e sul metodo, che proprio non ce la faccio. Il fatto stesso che io l’abbia seriamente preso in considerazione, per chi mi conosce, è rappresentativo della situazione nella quale siamo arrivati.

Per una volta nella vita, quindi, scelgo di votare chi mi convince di più, cioè Liberi e Uguali. Sia ben chiaro che non tutto mi convince completamente, ci sono tante cose che mi lasciano perplesso. Rimane però la formazione politica che mi convince di più, la più distante dalla destra xenofoba o razzista o fascista o oscurantista o Berlusconi e al contempo capace di proporsi come forza di governo, non solo di opposizione. E il programma è largamente condivisibile.

Non nascondo poi che l’aver conosciuto e l’aver in parte affiancato in questa campagna elettorale le candidate di Liberi e Uguali nel mio collegio, Irene Bregola alla Camera ed Eulalia Grillo al Senato, mi ha tolto ogni dubbio: due belle persone che meritano il mio voto.

Infine, giusto mentre scrivevo questo post, mi è arrivato un messaggio che mi segnalava questo video, e i dubbi sono finiti. In fondo, solo da loro ho sentito parlare di governare la grande trasformazione indotta dall’automazione e dall’intelligenza artificiale; ci lavoro tutti i giorni, so cosa significa e quanto sia importante.

La grande transizione matrioska

La politica serve solo se affronta questioni planetarie. La sinistra serve solo se lavora perché la grande transizione porti giorni migliori per i molti e non per i pochi.

Publiée par Giuseppe Civati sur Vendredi 2 mars 2018

Il bilancio della legislatura

Sento il bisogno, anche per fare chiarezza dentro di me e capire cosa fare nel prossimo futuro, di scrivere il mio bilancio di questa legislatura. Per me non è tutta da buttare, ma si porta dietro comunque molti aspetti negativi.

Prima le cose positive, poi quelle negative.

La legge sul fine vita e sul testamento biologico, quella sul dopo di noi (per le persone disabili quando i loro genitori muoiono), la legge sulle unioni civili, il divorzio breve, la legge sui testimoni di giustizia sono per me provvedimenti estremamente positivi, che fanno fare all’Italia passi in avanti importanti nella classifica di civiltà, classifica dove stavamo certamente perdendo posizioni. Sono temi difficili e delicati, non tutti concordano e la mia anima cattolica su alcuni aspetti è in difficoltà, ma sono temi che un paese moderno deve affrontare.
Ritengo estremamente positivi anche i provvedimenti in tema di digitalizzazione e semplificazione della burocrazia; sono cose meno appariscenti, ma con ricadute enormi delle quali ci renderemo conto in futuro. Mi riferisco ad esempio al 730 precompilato, che sembra una cosa da niente, ma penso sia il vero motivo per il quale il Governo Renzi ha perso l’appoggio dei sindacati.
Ma enorme è anche il lavoro di Diego Piacentini e la sua rivoluzione: la digitalizzazione della pubblica amministrazione; è una rivoluzione silente, ma gli impatti (a meno che il prossimo governo non blocchi tutto) saranno enormi. Penso all’anagrafe unica, all’identità digitale, alla piattaforma Pago Pa per i pagamenti e a molto altro.
Anche in tema di economia ed equità ritengo che siano stati fatte alcune buone cose: gli 80 Euro (ebbene sì: io li reputo positivi, perché sono stati un modo vero di abbassare le tasse sul lavoro per chi lavora, senza gli effetti negativi dell’evasione fiscale), il canone RAI in bolletta, regole diverse per i bilanci degli enti locali, la capacità di intercettare occasioni e portare investimenti in Italia. Sono alcuni esempi, ma c’è anche altro.

La legge sulla tortura rientra nel novero delle cose positive, ma non così positive: è stata fatta (che è molto), ma è stata fatta male.
Nella stessa categoria metto anche i nuovi ammortizzatori sociali basati sul sostegno alla persona e non sulla conservazione del posto di lavoro. Condivido il concetto, ma dovevano essere universali (cioè per tutti, indistintamente), non limitati nel tempo (se perdi il lavoro, ti sostengo finché non ne trovi un altro o finché non te lo trovo io e tu lo rifiuti) e strutturali (cioè validi per sempre, non da dover rifinanziare ogni anno, col risultato che i prossimi governi se ne “dimenticheranno”).

Infine veniamo all’elenco delle cose negative, che purtroppo è estremamente lungo e, soprattutto, pesante.

Si parte con lo Sblocca Italia dove (semplifico enormemente) si è tolto il controllo degli enti locali sugli inceneritori e dove sono state prorogate le concessioni autostradali in modo improprio (secondo le regole europee) e comunque secondo me totalmente sbagliato.
La cosa per me più insopportabile è stata comunque la riforma dell’articolo 18 (contenuta nel famoso Jobs Act). Insopportabile anche perché corredata da un corollario di falsità a mezzo stampa veramente imbarazzante: non conto ad esempio il numero di volte in cui ho letto che si aboliva il reintegro “in caso di licenziamento per motivi economici”; in realtà anche prima non c’era alcun reintegro in caso di licenziamento per motivi economici, e neppure alcun indennizzo; il reintegro era in caso di licenziamento per FALSI motivi economici, cioè se l’azienda finge di avere problemi economici inesistenti per giustificare un licenziamento!
In generale, tutto ciò che si diceva di voler introdurre con quella riforma era con ogni probabilità già stato introdotto dalla riforma Fornero, alla quale neppure si è dato il tempo di produrre i suoi effetti prima di intervenire ulteriormente con una modifica che, nei fatti, può andare ben oltre quanto sbandierato.
Ritengo sia stata disastrosa la gestione della questione banche, e in particolare (per ovvie ragioni geografiche) della Cassa di Risparmio di Ferrara, sostanzialmente lasciata fallire insieme a Banca Etruria e alle altre, mentre per casi analoghi sono state trovate soluzioni diverse. Soprattutto non ho mandato giù il fatto che i piccoli risparmiatori ferraresi siano stati dipinti come avidi speculatori per aver comprato azioni o obbligazioni subordinate, come se rendessero molto (rendevano circa come i BOT!). Ho faticato molto a ritrovare il prospetto informativo delle famose obbligazioni subordinate e a rileggerlo sono stato male per la fatica di capire che erano obbligazioni subordinate.
È stato un’enorme delusione il fallimento della riforma costituzionale; non era una gran riforma, ma io ero convinto che fosse un miglioramento necessario ed urgente; invece il referendum non è passato, a mio avviso perché Renzi l’ha fatto diventare un plebiscito su sé stesso anziché sul merito e perché non è stato capace di creare consenso allargando il campo.
Questo atteggiamento più in generale è stato uno delle cause di una delle peggiori eredità di questa legislatura, cioè un generale imbarbarimento del dialogo istituzionale e del rapporto tra le istituzioni, nonché una sfiducia sempre più profonda di gran parte delle persone.
Non condivido per niente la linea del governo sulla gestione dei migranti, vale a dire l’opera di Minniti. Certamente i flussi si sono ridotti, ma a quale prezzo? Abbiamo dimenticato cos’è l’umanità, cos’è l’accoglienza, cos’è la solidarietà, valori che dovrebbero essere alla base della nostra civiltà. La soluzione doveva e poteva essere quella di una gestione europea del problema, ma è mancata la forza politica di imporla fino alla fine e farla attuare, dopo i proclami iniziali.
Non condivido l’abolizione dell’IMU (o una qualunque delle altre sigle equivalenti) sulla prima casa, che era un modo per rendere il fisco più giusto e più equo. Non condivido per niente la normativa sulla residenza (contenuta nel decreto “Piano Casa”) che privava i senza-fissa-dimora di diritti fondamentali, salvo ripristinarli ad un anno di distanza con una circolare esplicativa.

C’è sicuramente altro, in positivo e in negativo, ma mi fermo qua. Penso sia abbastanza.

Cosa ci resto a fare nel PD?

https://www.flickr.com/photos/ilfattoquotidiano/7973640600

Alcuni recenti eventi di natura personale mi stanno facendo riconsiderare le mie priorità; a questi si aggiungono alcuni eventi politici. Il tutto mi porta a domandarmi: cosa ci resto a fare nel PD?

Ci sono due eventi politici importanti che mi sconfortano: la legge di stabilità e la decadenza del Sindaco di Roma, Ignazio Marino.

(altro…)

Pensieri sulle elezioni regionali

Annoto qui, soprattutto come pro-memoria personale, alcune considerazioni sparse sulle elezioni regionali di ieri; a caldo e, dunque, non ancora del tutto elaborate.

  • Il dato della bassa affluenza è il più importante ed è drammatico; la disaffezione verso la politica e in particolare verso le regioni ha raggiunto livelli patologici; credo che nessuno, in questo contesto, possa gridare alla vittoria.
  • La Lega è andata benissimo, superando direi ovunque Forza Italia sia come lista, sia come risultato del candidato presidente (insieme a FDI e AN, contro quello di FI e alleati vari).
  • Forza Italia è andata malissimo; infatti, ha vinto solo dove alleata con la Lega (in Liguria grazie anche alla divisione a sinistra) e ha perso anche contro Toti in Puglia.
  • Il M5S è molto lontano dall’essere in dissoluzione, come in molti erroneamente ritenevano.
  • Pastorino è andato bene, meglio delle previsioni e meglio degli ultimi (e penultimi) esperimenti a sinistra, ma non benissimo; personalmente mi aspettavo superasse il 10%; inoltre in quella regione il sostegno a lui era molto più trasversale del solo Civati e, dunque, credo che quel risultato non possa essere esteso a livello nazionale (per ora; ma sicuramente lavoreranno perché avvenga); molto indicativo è, ad ogni modo, il 3% di voto disgiunto, un tipo di voto molto difficile da fare e che testimonia una insofferenza molto forte di pezzi del PD nei confronti della candidata Paita.
  • Il PD è andato oggettivamente male; le dichiarazioni sono ovviamente di segno opposto, ma secondo me è innegabile che in Veneto sia stata una disfatta (inizialmente imprevista, poi annunciata, ma inaspettata nelle dimensioni), in Umbria una vittoria meno scontata del previsto, in Toscana probabimente il PD e Rossi si aspettavano di andare meglio, in Liguria siamo allo psicodramma (e ci arrivo).
  • In Liguria a sinistra hanno perso tutti e ha vinto il centrodestra (e in particolare NCD e affini che prima hanno sostenuto e fatto vincere Paita alle primarie e poi l’hanno fatta perdere); la sconfitta è iniziata con l’avere liquidato in un niente le proteste sui brogli alle primarie ed è continuata nell’essersi comportati come se l’uscita di pezzi del PD non fosse un problema del quale preoccuparsi (salvo poi accusarli quando ci si è resi conto che non erano poi così marginali), nell’incapacità di fare sintesi sia nel PD sia fuori dal PD. Oggi vorrei leggere dichiarazioni in questo senso, invece di cori trionfanti di alcuni sostenitori di Pastorino e accuse feroci di alcuni pezzi del PD, ad esempio la candidata presidente Paita. La sconfitta è di tutti; poi ognuno ne darà, legittimamente, una lettura diversa (per alcuni, anche a sinistra, è meglio veder vincere Toti che la Paita, per altri è il contrario); ma io ritengo che tutta la sinistra dovrebbe ambire a trovare una sintesi condivisa e che quello debba essere l’orizzonte di riferimento nel medio e lungo periodo.
  • Il futuro della Campania è un punto molto delicato; come gestirà Renzi l’obbligo di procedere, con un atto che è tecnicamente dovuto e non una scelta politica, a sospendere il vincitore De Luca? Temporeggiamento, decreto, altro? Sarà molto interessante da osservare, e delicato.

Ho vinto le elezioni

 

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L’eccezionalità del momento mi spinge a togliere la polvere da questo blog per depositare qui una enorme soddisfazione: per la prima volta ho vinto le elezioni.

Mi era già capitato di votare lo schieramento vincente, ma molto raramente, per vittorie risicatissime (“non sconfitte”), o con scarsa convinzione.

Questa volta no. Questa volta ho vinto 4 volte, una più bella dell’altra, una più grossa dell’altra, una più inaspettata dell’altra.
E come se tutto ciò non bastasse, questa volta la campagna elettorale l’ho vissuta e fatta per la prima volta in prima persona, con impegno e dedizione, dedicando tutto il (poco) tempo libero che mi rimaneva, e forse anche un pochino di più. Ma, accidenti, che soddisfazione.

Ha vinto il PD, e con percentuali incredibili, inimmaginabili, totalmente inaspettate.

Ha vinto Tiziano Tagliani, il candidato sindaco migliore che la mia città aveva a disposizione. E forse qualcosa di più.

Ha vinto Elly Schlein, che è stata eletta in Europa. Elly ha fatto una campagna lowcost, ma talmente partecipata, coinvolgente ed efficace da stravolgere i pronostici e risultare vincente. E io ne ho fatto parte, nel mio piccolo, con convinzione.
Ogni tanto vado a riguardare la classifica delle preferenze, la vedo lì al sesto posto, prima di molti altri ben più quotati di lei, e sorrido.

Ha vinto Ilaria Baraldi, che è entrata nel Consiglio Comunale di Ferrara. Ilaria è un’amica, ma anche una persona con cui ho condiviso numerose avventure, anche politiche, e che stimo enormemente per le sue idee e la sua capacità di portarle avanti con convinzione e coerenza. Sono convinto che saprà portarle anche in Comune in modo costruttivo, dando così ancora maggior forza all’amministrazione e al Sindaco.
Ilaria non solo ha vinto, ma ha stravinto, raccogliendo una quantità di preferenze che neppure lei sperava, ma che dimostrano molto.

Hanno vinto anche molte altre ottime persone, per cui sono felicissimo; e dispiaciuto per quelli che, invece, non ce l’hanno fatta, ma l’avrebbero meritato. Vorrei elencarli tutti ad uno ad uno, ma mi fermo qua.

La fotografia in alto l’ho pubblicata su Facebook qualche giorno prima delle elezioni. Le aspettative si sono realizzata. In pieno. Finalmente.

Civatiani a loro insaputa

civati

Il gruppo, che a me piace definire dei Civatiani a loro insaputa, continua ad allargarsi e ora conta una nutrita pattuglia anche nella mia città, Ferrara.

Il primo membro illustre è stato D’Alema che, in questa intervista, ripercorre le tappe del tormentato periodo che ha seguito la non-vittoria di Bersani alle elezioni, fino alla mancata elezione di Prodi ad opera dei famosi 101 franchi tiratori, o traditori se preferite, ancora tutti anonimi. D’Alema nell’intervista dice, solo ora, che secondo lui andavano fatte tutta una serie di cose, esattamente le medesime che Civati diceva, inascoltato, allora. Se ne accorge anche Civati stesso, che in questo post dice la sua al riguardo.

Si è poi aggiunto un secondo membro molto illustre, Renzi, che ha proposto di “ridurre le tasse sul lavoro tassando le pensioni d’oro” (link), la stessa identica proposta che Civati porta avanti da anni.

Ora anche a Ferrara un gruppo, che si autodefinisce dei “non allineati”, scrive ai giornali (qui la lettera pubblicata da estense.com) una serie di questioni, richieste e proposte che sono uguali, o almeno molto simili, a quelle di Civati. Ad esempio:

È tempo che il Partito Democratico sia […], anche a livello nazionale, uno spazio dove elaborare una linea che permetta finalmente di prendere decisioni su questioni fondamentali, uno spazio dove produrre un supporto politico concreto all’agire amministrativo e dove creare una identità indispensabile al confronto. Questo passa anche da una piena consapevolezza sul ruolo di ogni singolo iscritto al partito, che può nascere solo da una riflessione profonda sulla responsabilità, la dignità e l’importanza dell’opinione e del contributo di ognuno.
Radicare ed organizzare sempre più a livello territoriale il Partito Democratico, renderlo sempre più agibile, metterlo a disposizione dei cittadini, contribuire ad elaborare e sostenere strategie di sviluppo compatibile e di ampio respiro per il bene della comunità sono per noi obiettivi irrinunciabili che devono trovare spazio nel dibattito politico e congressuale tout court.

Mi sembra proprio un caso perfetto di Civatiani a loro insaputa. La mia speranza è che la loro decisione di rimanere “non allineati” sia dovuta alla scelta di attendere per conoscere meglio le posizioni di tutti e non a strani calcoli di vecchia politica; che quindi queste persone, e tutti quelli che la pensano come loro, ascoltino senza pregiudizi cosa hanno da dire i vari candidati alla segreteria del PD e poi decidano almeno di votare, se non di sostenere apertamente, quello che li convince di più. Io sono fiducioso che potrà essere Civati.

PS: chi si chiede quali sono, più nel dettaglio, le posizioni di Civati, può trovare molto materiale nel manifesto che ha presentato insieme alle firme per la sua candidatura, il giorno 11 ottobre 2013; si intitola Il partito delle possibilità.

La decadenza di Berlusconi e l’arbitro di calcio

berlusconi

Qualche sera fa ascoltavo, mio malgrado, Capezzone parlare della decadenza di Berlusconi, usando una ottima metafora calcistica.

Sosteneva, semplificando, qualcosa tipo che la decadenza di Berlusconi fosse sbagliata così come sarebbe sbagliato che un arbitro di calcio espellesse un attaccante solo perché fa troppi gol. E che tutti ci stupiremmo e ci scandalizzeremmo di un arbitro che facesse una cosa del genere.

Metafora molto appropriata e utilissima per rispondere a quelli che pensano che la decadenza di Berlusconi sia sbagliata e provare a convincerli del contrario.

Tutti considererebbero del tutto normale, anzi giusto, espellere o squalificare un attaccante che insulta gli avversari, insulta l’arbitro, commette falli gravi, assume doping, o altro. Indipendentemente da quanti gol fa o da quanto è importante per la sua squadra e i suoi tifosi.

Appunto.

Come funzionava il congresso PD

Su twitter mi hanno chiesto come funziona l’elezione del segretario del PD, che si dovrà tenere a breve per sostituire Bersani. Si può dire che nel 2009, quando è stato eletto Bersani, si è fatto così:

  1. Prima fase riservata agli iscritti al partito per “pre-selezionare” la candidature.
  2. Elezioni primarie per i candidati al ruolo di segretario, aperte a tutti i cittadini che volevano partecipare, firmando il consenso al trattamento dei dati e versando 1 euro; con queste elezioni si votava il candidato, ma si eleggevano in realtà dei delegati all’assemblea nazionale, come tendenzialmente succede in USA.
  3. I delegati, riuniti all’assemblea nazionale, hanno eletto il segretario.

Le fasi, che sembrano un po’ macchinose, in realtà servono ad equilibrare il contributo degli iscritti e quello degli elettori. Di fatto è stato eletto Bersani, che ha vinto le primarie con oltre il 50% dei voti, contro Franceschini e Marino. Ragionevolmente, solo se avesse preso meno del 50% dei voti, i delegati all’assemblea nazionale avrebbero potuto modificare il risultato delle primarie, perché avrebbero dovuto accordarsi tra loro per dare una maggioranza ad una persona. D’altra parte, la prima fase riservata agli iscritti serve proprio ad evitare il proliferare di candidati e ad ammettere alle elezioni primarie solo quelli che abbiano passato il vaglio del partito e che abbiano un minimo di consenso.

In definitiva, a mio avviso, complicato, ma equilibrato. Tra l’altro, complicato solo per gli iscritti al partito, ma per i comuni elettori in realtà molto semplice: vai, firmi, voti. Basta.

Potrebbe aprirsi una discussione molto importante sul fatto che si vocifera vogliano cambiare queste regole, eliminando le primarie aperte agli elettori, addirittura risevandole ai soli iscritti. Probabilmente la aprirò in un qualche post successivo. Ma anticipo che lo troverei scandaloso.

Civati e la fiducia a Letta

pippo_civati_twitter

In questi giorni il PD ha completato l’inversione ad U rispetto a qualche settimana fa: non più “governo del cambiamento” e “mai col PdL”, ma “large intese” e governo con Alfano e tutti gli altri dell’allegra combriccola.

La maggior parte della dirigenza del PD, mentre la base si lamentava, ha accettato in silenzio, con soddisfazione (più o meno nascosta) o con rassegnazione. Pochi hanno manifestato il loro dissenso. Pippo Civati è forse l’unico del PD che è arrivato al punto di non votare la fiducia al governo Letta, e qui ne spiega il motivo. Lo capisco e lo accetto.

Tuttavia io avrei agito diversamente. A mio avviso, a quel punto sarebbe stato giusto votare la fiducia; era giusto dare battaglia, come è stato, all’assemblea del gruppo parlamentare, ma poi mi sarei adeguato alla linea comune, pur mantenendo una riserva e manifestando il dissenso; perché se poi Civati vuole battersi al congresso e diventare segretario di un partito capace di contenere anime diverse è quella la linea: discutere anche aspramente e a viso aperto, ma poi fare una sintesi. Per essere chiari: non trovo utile l’idea della scissione.

Queste considerazioni non riducono affatto il mio giudizio assolutamente negativo sul modo col quale siamo arrivati a quel punto: il cambio repentino di direzione politica del PD, non spiegato e non discusso, ma deciso solo in poche stanze, con la proposta di Marini; lo scandaloso impallinamento di Prodi ad opera dei 101 anonimi; il seguente nuovo cambio di direzione, con Bersani a pregare Napolitano di ripresentarsi ancora una volta senza aver condiviso coi parlamentari tale linea (le alternative c’erano: capire chi erano i 101 e perché avevano fatto così, insistere su Prodi, convergere su Rodotà, sfidare i grillini su Zagrebelsky, etc.).

Posso accettare che il PD abbia l’abitudine di cercare gli accordi prima delle riunioni, ma non lo condivido: sarebbe stato giusto prendere le decisioni nei luoghi deputati allo scopo, non nei corridoi per poi farle ratificare alle riunioni. Quello che, però, non posso accettare, ed evidentemente neppure Civati, è che l’accordo prima delle riunioni venga cercato tra pochi, e non tra tutti; che un parlamentare come lui, che non fa parte di nessuna corrente, non sia interpellato e non abbia nessuna voce in capitolo. E’ assurdo ed è profondamente sbagliato e anti-democratico; quando, invece, il partito si chiama proprio democratico.

Ritengo che il modo sia anche la critica più forte che fa Civati e il motivo vero per il quale non ha ceduto e non ha votato la fiducia. Chiudo con le sue parole a sostegno di questa affermazione:

Ho però preferito dichiararmi contrario, perché non è il momento di «votare sì per dire no», perché mai come oggi la mancanza di dibattito è stata fatale, perché la chiarezza è il primo mandato che abbiamo ricevuto dai nostri elettori. Che tutto si sarebbero aspettati, tranne lo spettacolo degli ultimi giorni e l’esplosione delle contraddizioni di un partito che non sapeva dove andare. O forse lo sapeva benissimo, ma non aveva mai trovato le parole per dichiararlo (ammetterlo?) e il coraggio di pronunciarle, se non per “interposto Napolitano”. E non è serio e non è bello nemmeno questo.