Flessibilità o Precarietà

Il mercato del lavoro italiano è uno schifo e vale la pena spendere due parole per distinguere i concetti di flessibilità e precarietà, almeno per come li intendo io.

Un mercato del lavoro flessibile è accettabile e desiderabile. Un mercato del lavoro precario è accettabile soltanto se molto flessibile.

Ritengo che con la parola flessibilità si possa identificare la facilità che un lavoratore ha nel cercare un lavoro nuovo. Se è facile cambiare occupazione, spostarsi da una città all’altra, mettere a frutto l’esperienza acquisita altrove in un occupazione di maggior prestigio, allora c’è flessibilità. Un tempo, si faceva carriera all’interno dello stesso contesto. Ritengo che in un contesto di flessibilità dovrebbe essere più facile far carriera se disponibili a cambiare.

Precarietà significa, invece, mancanza di certezza di un posto di lavoro, qualcosa di completamente diverso. E’ evidente che in Italia ci sia, soprattutto per i giovani come me, un livello di precarietà terribile, con uno squilibrio di diritti tra gli assunti in anni precedenti, che possono fare qualunque cosa (compreso rubare nelle valigie degli aerei) senza perdere il posto, e i nuovi “assunti”, che possono fare qualunque cosa (compreso lavorare 18 ore al giorno gratis) e comunque non avranno mai la certezza di un posto.
Una situazione del genere spero che prima o poi esploda. Quando i precari raggiungeranno i 40 anni, con una famiglia sulle spalle, e non riusciranno più a lavorare perché le aziende preferiranno sfruttare i neolaureati, avranno ancora la forza di ribellarsi?

Il concetto chiave è che il costo della precarietà deve essere sostenuto dallo stato e non dai lavoratori. Solo in questo modo diventa possibile sfruttare la precarietà per dare nuovo slancio all’econonomia.flessibilitàprecarietàlavoro

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9 Risposte a “Flessibilità o Precarietà”

  1. Sapessi quanto lo capisco io… 29 anni, un “meraviglioso” contratto a progetto, da 4 anni lavoro una media di 10 ore al giorno per il solito stipendio al limite della sopravvivenza, facendo anche i turni il sabato e la domenica – e con nessuna prospettiva di trovare un lavoro con ritmi più o meno “umani”… E mi ritengo una gran privilegiata perchè grazie ai risparmi dei miei e all’eredità dei nonni ho un tetto sulla testa senza dover pagare affitto o muto, ma sapessi che rabbia guardare mio marito e pensare che stando così le cose e con genitori e suoceri in città diverse e lontane noi un figlio non possiamo certo permettercelo… 🙁

  2. bravo Settolo…hai centrato in pieno il problema.
    Una cosa a cui veramente non avevo mai pensato è il fatto che quando saremo “adulti” (tipo da 40 anni in su) ci saranno altri neolaureati che prenderanno i ns posti…già!
    consiglio di andare su http://www.radioalzozero.net e il suo blog
    http://www.razblog.net, trattano spesso di queste tematiche.
    in bocca al lupo a tutti!!!

  3. CACCIATORI DI TESTE: SEI UN NAUFRAGO O UN SURFER? (Riflessioni di un selezionatore)

    ……….
    profilo
    Andrea Battantier, psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, selezionatore e formatore;
    dottorato in psicologia sociale (Facoltà “La Sapienza” di Roma)
    ……….

    Il mercato è diventato un mare aperto, indubbiamente una risorsa per chi sa nuotare e cavalcare l’onda. Ma sono tanti i naufraghi che soccombono ogni giorno. Te ne accorgi quando fai selezione, c’è qualcuno che ti affronta con eccitata aria di sfida, come fosse alla ricerca dello squalo bianco. Ed altri invece sembrano implorarti con gli occhi, cercano un salvagente per non morire in questo mare della flessibilità.
    Servono corsi di sopravvivenza in mare, perché in molti non ce la fanno. I naufraghi li riconoscono subito: non chiedono niente, solo un po’ di lavoro, e sono disposti a tutto. Ma c’è chi, nel mare della flessibilità, si muove molto bene: si tratta dei surfers, pronti a cavalcare svantaggi e vantaggi del nuovo modo di intendere il lavoro; per loro lo svantaggio è un vantaggio, i surfers saltano da un’azienda all’altra o da una mansione all’altra, sono dinamici, pronti e rapidi nell’acquisire nuove competenze, spendibili poi in altri contesti, non appena percepiscono che valgono qualcosa in più. Un surfer ha imparato a giocare con le aziende, contratta su qualsiasi cosa, ti sorride e sai che se lo assumi potrebbe andarsene 20 giorni dopo per 60 euro in più al mese. E fanno bene a fare così. Non esiste più l’attaccamento aziendale, almeno da quando l’azienda non è più la
    mamma. Se i risultati della legge Biagi sono buoni per il datore di lavoro, bè, per quanto riguarda il lavoratore, nutro qualche perplessità. Alcuni miei colleghi parlano addirittura di sfruttamento legalizzato. La legge ha contribuito a far emergere parte del lavoro nero, ma indubbiamente, come si fa a cercare di incrementare l’occupazione senza favorire in qualche modo i datori di lavoro? Il lavoro e il mercato sono cambiati, questo qualcuno non l’ha ancora capito. Poi, per inciso, la legge Biagi si instaura sul pacchetto Treu (che ha introdotto il lavoro interinale e ne è una continuazione). La flessibilità è un concetto ineludibile ma purtroppo è ancora troppo labile il confine tra flessibilità e sfruttamento. Ormai sono rimasti solo i candidati over 40 a chiedere (sempre più timidamente) il posto
    fisso. Per gli under 25 il concetto di “fisso” è semplicemente qualcosa ormai di altri tempi. Per i 20 enni invece il problema non si pone neanche: escono tutti dalla scuola dei surfers. Che sia giusto o sbagliato questa è la realtà. I naufraghi e i surfers navigano nel mare dell’individualismo, perché la legge Biagi ha di fatto dato a milioni di lavoratori un patentino di percepita precarietà (per i primi) o di flessibilità (per i
    secondi). Una legge che legalizza la precarietà/flessibilità consentendo la possibilità di affittare, trasferire, vendere i lavoratori: una potenziale garanzia di crescita dei profitti per le aziende, una garanzia incerta di profitto per il lavoratore. La differenza è che i naufraghi vedono il mondo del lavoro con occhiali neri, i surfers, con occhiali rosa. Ho iniziato a selezionare nel 1996 e negli ultimi anni avverto l’indebolimento dei miei candidati: sono soli, in mezzo a questo mare; mare che io guardo senza occhiali, seleziono e basta. Ma un po’ di nausea, alle volte, l’avverto anch’io, uno strano mal di mare che passa non pensandoci troppo e continuando a nuotare. La riforma del lavoro esalta la professione dello psicologo. Con la legge Biagi viene amplificato il ruolo delle agenzie private del lavoro, ma anche degli psicologi che operano al loro interno. L’attività di
    valutazione del potenziale prevede strumenti per una diagnosi: lo psicologo selezionatore delinea un quadro di personalità, mediante tests, colloqui di gruppo ed individuali. Ma accanto a questa bella valigetta con il kit dello psicologo, va ricordato che un candidato che ha perso il lavoro o vive una condizione di precarietà, è più facilmente ricattabile, dall’azienda, ed anche da noi selezionatori che, ricordiamolo, dall’azienda siamo pagati: basta con frasi ad effetto tipo “la persona giusta al posto giusto”. Giusto per chi? Per entrambe le parti? Voglio essere buono, “giusto” all’80% per il datore e al 20% per il lavoratore. Chi è ricattabile (ormai anche i più ritrosi) è disposto a sottoscrivere un contratto nel quale gli vengono attribuite determinate mansioni, stipendio e ferie, mentre in realtà gli viene assegnato uno stipendio spesso inferiore rispetto a quello stabilito; per non parlare delle mansioni, che spesso risultano essere più gravose. “Prendere o lasciare”, questo è il proverbio più usato dai nostri committenti. Per non parlare del part time: ciò che per un buon surfer è un’opportunità in più (magari riesce a lavorare altrove acquisendo nuove competenze e arrotondando lo stipendio) per un naufrago diventa un dramma: il datore infatti può modificare a suo piacimento le giornate prestabilite aggiungendo precarietà a precarietà. Noi selezionatori li facciamo presenti questi aspetti, anzi, in sede di colloquio punzecchiamo i nostri candidati, li provochiamo, cerchiamo di sollecitarli fino al punto estremo in cui, il surfer raggiunge uno stato orgasmico, perché è un tipo di personalità che trae linfa vitale dall’incertezza (da lui vissuta come foriera di maggiori gradi libertà e di movimento), mentre il naufrago annaspa in una mare di tentennamenti, e sta a noi, a seconda del tipo di lavoro, “affogarli” (sia chiaro, anche per il loro bene, laddove serve dinamismo e forza d’animo) o assumerli sulla scialuppa(laddove serve la sicurezza che l’assunto non molli il lavoro dopo poco tempo, i naufraghi, infatti, sono meno brillanti, ma più affidabili, stanno dove li metti). Per non parlare del contratto Job on call (lavoro a chiamata): il lavoratore rimane a disposizione del datore di lavoro che lo chiama a seconda delle proprie esigenze. Il lavoratore viene pagato solo per il lavoro effettivamente svolto, percependo un’indennità di disponibilità per il tempo d’attesa. Si aspetta una chiamata, e deve necessariamente essere reperibile, fosse anche nel fine settimana, nel giorno di Natale o a Pasqua. Anche qui, mentre il surfer ne approfitta per vagliare nuove opportunità, creandosi una mappa mentale delle priorità (il lavoro migliore scalcia e declassa il lavoro peggiore), il naufrago entra in ansia, controllando il suo cellulare giorno e notte, implorando e sperando nella mitica chiamata. E nel frattempo rimane fermo, paralizzato, temendo di perdere l’unica occasione della sua vita. Potrei andare avanti, e sempre con sofferenza. Noi selezionatori non siamo le bestie cattive al servizio del padrone. Soffriamo anche noi, ma che possiamo fare? Mica ci pagano i candidati, a noi chi ci paga è l’azienda. Che posso dire? Mica è tutto razionalità.

    andrea battantier
    numeroditelefono

    ho oscurato il numero di telefono con cui si chiudeva il commento. Se qualcuno desidera contattare l’autore di questo post, può chiedere a me che girerò il contatto email

  4. Tra tutti il commento più originale e vero è quello di Andrea Battantier “Sei un naufrago o surfer?”: un vero trattatello sulla psicologia le opportunità e le disgrazie del precario.
    Bravo Andrea,
    Silvano

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